Ravanando tra le varie scartoffie e i file da riordinare ecco che ritrovo una storiella di cui non ricordo né l'autore né la provenienza ma che mi era tanto piaciuta: magari piacerà anche a voi.
Sulla Caiazzo-Piedimonte, il fastidio che mi provocava il riverbero di mezzogiorno si sommava alla
consapevolezza che sarei potuto rimanere a piedi. Il sole a perpendicolo creava pozzi di oscurità nella macchia e
arroventava il casco. In più, non avevo neppure cominciato il pezzo che dovevo consegnare.
Non avevo fame, ma forse un po’ di frutta mi avrebbe aiutato a mitigare il tedio di una giornata nata male e mi
fermai alla terza bancarella che incrociai. Non che fosse migliore delle prime due, ma, se volevo fermarmi, tanto
valeva farlo subito. Un omaccione sui sessanta e un ventenne riccio chiacchieravano sotto gli alberi. Vicino a
loro, un APE colmo di pesche, susine, meloni e angurie.
Arrestai la motocicletta mentre il giovanotto riccio saliva in auto e se ne andava. L’altro lo salutò con una voce
grossa come lui. L’uva era bella e anche le prugne. «È sua?» chiesi, staccando un acino e addentandolo.
«Vi imbroglierei se vi dicessi che è mia: è della Puglia». Era buona. L’ortolano infilò un grappolo nella busta di
plastica e stette in attesa, i gomiti stretti ai fianchi. «Mi dia anche quattro prugne, mature.»
«Una, due, tre, no, questa è troppo matura.» La prugna volò nel campo, dall’altra parte della strada. «Tre,
quattro.» «Quant’è?» Il contadino soppesò un paio di volte il sacchetto: «un euro e cinquanta».
Gli spicci che avevo con me ammontavano esattamente a un euro e cinquanta, comprese due monete da 2
centesimi e una da 1. «Avete rubato in chiesa?» Per cortesia, mi unii brevemente alla risata. «Da dove venite?»
«Da Santa Maria Capua Vetere.»
«Si, ma da dove venite?» «Scusi, dal Veneto.» «Dove andate?» «A Piedimonte Matese.»
Restammo in silenzio qualche secondo, un’altra domanda a fil di bocca. «Arrivederci. Buona giornata.»
«A voi». Bacche arancio pendevano dai lunghi rami di un rampicante. La consistenza era quella di frutti sfatti. Tra
le foglie verde scuro, due strani fiori. «Scusi, che pianta è?» «Questa è la passiflora.» L’uomo raccolse uno dei fiori fra le dita tozze. «Guardate quanto sono belli. Guardate la doppia corona di filamenti bianchi alla base e blu
elettrico in punta, i cinque stami e i tre carpelli dai grossi stimmi.» «Sapete perché si chiama passiflora?»
Non lo sapevo e tacqui. «Perché ricorda il supplizio di Gesù Cristo: i tre stili i chiodi, gli stami i martelli; la raggiera è la corona di spine. Il frutto è buono. Assaggiatelo.» Le grosse mani dell’uomo aprirono la bacca. L’interno era
simile alla papaya che mangiavo tutti i giorni quando stavo in Amazzonia, sebbene non mi piacesse tanto. La
polpa era carnosa, rosso sangue, disseminata di piccoli semi appiattiti, coriacei e rugosi. La papaya mi riportò in riva al Rio Tapajòs, dove le donne indie si bagnavano senza pudore. Pelle liscia color di cannella, occhi grandi, capelli corvini. Tornai a perdermi nel corallo scuro delle loro labbra.«Attento Signo’ che vi può fare brutti scherzi,
specialmente a voi in motocicletta. ‘Sta signorina dolce porta con sé glicosidi cianogenetici che a volte ti danno
alla testa e ti senti male: nausea, vomito e difficoltà respiratorie.»
La passiflora non mi piacque. La trovai viscida, poco saporita, un po’ disgustosa. Quasi mi leggesse nel pensiero, aggiunse: «A me non piace. Pensate che questa pianta è nata proprio perché a me non piace il frutto. Quando lo assaggiai, proprio lì dove state voi ora, lo sputai appena messo in bocca e i semi fecero il loro dovere.»
«Lei sa molte cose sulla plassiflora» commentai. «Signo’, quando è spuntata e ha messo il primo fiore, non
sapevo cosa fosse, ma estate dopo estate ci siamo fatti compagnia e ho cominciato a chiedere a chi si fermava.»
In tono di scusa, aggiunse: «sapete, io non ho studiato, però poi m’è presa passione e ho letto anche qualche
libro.» Parlando, guardava la sua pianta. «È bella alta vero? Osservate come si è fatta strada su quell’acacia, issandosi fra i rami. Lì in alto, però, è un po’ secca. Chissà perché.» Mi parve lo chiedesse a me, ma non avevo una risposta. Attesi un istante ancora e lo salutai con un gesto che non ricambiò. Naso all’aria, stava ancora ispezionando la passiflora.
Me nei andai con la mia frutta e una storia da raccontare.